Martedì – IV settimana del Tempo di Quaresima
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Dopo aver contemplato il popolo di Israele come una valle di ossa inaridite (Ez 37), il profeta accede a un’inattesa, grandiosa visione. Condotto dall’angelo all’ingresso del tempio — figura di quel santuario che è la nostra umanità — Ezechiele contempla la salvezza di Dio nella figura di un traboccante torrente d’acqua, le cui proprietà terapeutiche diventano un’inarrestabile cascata di grazia che restituisce vita a ogni cosa.
Ogni essere vivente che si muove dovunque arriva il torrente, vivrà:
il pesce vi sarà abbondantissimo, perché dove giungono quelle acque, risanano,
e là dove giungerà il torrente tutto rivivrà (Ez 47,9)
Il dilatarsi e l’incedere di questa forza naturale rende fecondi gli alberi che stanno sulle sue sponde. Abbondantissimo sarà il pesce al suo interno. Tutto ritorna a vivere a contatto con la sua forza vitale. Davanti a questo scenario potente, nel cui simbolo già pregustiamo i fiumi di acqua viva che sgorgano dal cuore di Cristo nel mistero pasquale, si solleva una domanda tutt’altro che retorica.
Hai visto, figlio dell’uomo? (47,6)
L’interrogativo posto dall’angelo del Signore al profeta può essere per noi un’utile verifica del cammino quaresimale: che cosa siamo riusciti a vedere — cioè a riconoscere — in questi giorni che stanno passando in fretta? Alla presenza di quale volto abbiamo ascoltato, pregato, ci siamo impegnati nella carità e nel distacco da noi stessi? Serve una verifica a metà del viaggio quaresimale, perché la guarigione del nostro spirito non può avvenire in totale anestesia. Occorre la nostra partecipazione, una certa corrispondenza di desiderio rispetto a ciò che il Signore intende regalarci.
Si trovava lì un uomo che da trentotto anni era malato (Gv 5,5)
Ci sono, infatti, aspetti della nostra umanità che attendono redenzione da tutta una vita, come quell’uomo di cui parla il vangelo di oggi. Ma essere da lungo tempo infermi non significa necessariamente avere anche voglia di assumere la guarigione come compito e non solo come elemosina. Quest’uomo, da sempre immobile, sembra prigioniero della rassegnazione, schiavo di quel vittimismo che tutti conosciamo bene perché ci è spesso compagno nella sofferenza.
Non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l’acqua si agita.
Mentre infatti sto per andarvi, un altro scende prima di me (5,7)
Il Signore Gesù lo conduce a modificare lo sguardo, spostando l’attenzione dalle circostanze esterne — a prima vista (sempre) sfavorevoli — a quelle interne. Gli risponde con domanda che, se non fosse piena di amore, potrebbe sembrare persino piena di ironia.
Vuoi guarire? (5,6)
Nella vita spirituale non esistono guarigioni di massa, né risanamenti impersonali. Il primo passo che ci è richiesto è sempre la disponibilità a prendere in mano la nostra storia e accettare che la salvezza di Dio si compia gradualmente, nel difficile e meraviglioso gioco di affidamenti quotidiani, di relazioni autentiche, di piccoli atti di obbedienza alla realtà. Proprio la realtà — dove il Signore passeggia con la sua provvidenza, il suo Spirito e il suo mistico corpo — è sempre il luogo da cui ripartire nell’esodo dalla schiavitù della paura verso la libertà dei figli di Dio.
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