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Martedì – XIII settimana del Tempo Ordinario
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È tutta una domanda la liturgia della Parola di oggi. Un lungo punto interrogativo collega e intreccia le due letture come un robusto filo rosso, non lasciandoci altra possibilità che desiderare un ascolto attento e sincero. Per capire se la grazia dell’appello è rivolta anche a noi. L’avvio della pagina profetica lascia ben sperare.
«Ascoltate questa parola, che il Signore ha detto riguardo a voi, figli d’Israele,
e riguardo a tutta la stirpe che ho fatto salire dall’Egitto [...]» (Am 3,1)
Il profeta prende la parola per interpellare due categorie di persone: gli Israeliti e tutti coloro che sono da essi sono rappresentati. Dio rivolge il suo messaggio a tutti coloro che dalla sua misericordia sono stati salvati dall’incubo della schiavitù. È un messaggio universale quello del profeta. Lanciato verso tutti coloro che hanno vissuto l’esperienza della salvezza, ma corrono il rischio di non farla diventare occasione e via di autentica conversione.
«Vi ho travolto come Dio aveva travolto Sòdoma e Gomorra,
eravate come un tizzone strappato da un incendio; ma non siete ritornati a me» (4,11)
Inizia a diventare comprensibile la raffica di domande con cui il profeta apostrofa il popolo. La martellante affermazione nascosta — che ogni effetto è preceduto da una causa, e ogni causa non è senza effetto — sembra finalizzata a ricordare che quando il Signore parla, ciò non può restare un evento isolato o infecondo. Dio parla per offrire l’occasione del ritorno. Al suo amore non basta porgere il dono della guarigione. È necessario per lui regalare la gioia di una vita piena. Anche se la sua presenza, talvolta, deve essere così silenziosa e inerme da risvegliare in noi la coscienza di quanto distratto — o addirittura assente — è il nostro coinvolgimento con la sua vita.
Allora si accostarono a lui (i discepoli) e lo svegliarono, dicendo:
«Salvaci, Signore, siamo perduti!». Ed egli disse loro:
«Perché avete paura, gente di poca fede?» (Mt 8,25-26)
La domanda del Signore Gesù raccoglie il senso di quelle di Amos e le porta a compimento. Il più serio intralcio che la nostra ferita umanità pone davanti a Dio è, quasi sempre, quella superficialità in cui scivoliamo pur di non affrontare a viso aperto le ferite dell’anima. Pur di non presentarci (diversamente) nudi alla presenza di colui che — solo — può far tornare la nostra vita al suo senso, restituendole tutti i suoi colori. Ritrovare lo stupore davanti a un Dio che sembra dormire sulla nostra barca è cominciare a rispondere ai suoi appelli. È imboccare la via del ritorno.
Tutti, pieni di stupore, dicevano:
«Chi è mai costui, che perfino i venti e il mare gli obbediscono?» (8,27)
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