Giovedì della VII settimana di Pasqua
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Congedandosi dai suoi discepoli, il Signore Gesù pensa bene di porgere loro — come ultimo e definitivo dono — il motivo della sua stessa incarnazione: la conoscenza del nome di Dio — il Padre — e del suo infinito amore.
«E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere,
perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro» (Gv 17,26)
Il medesimo Spirito ha animato l’ostinata a appassionata testimonianza dell’apostolo Paolo, mai stanco di sperare che la sua esperienza di immersione nella grazia del vangelo potesse essere vissuta anche dai suoi fratelli d’Israele. Eppure, come ci insegna il racconto degli Atti, talvolta le nostre più belle aspirazioni si scontrano contro il muro della realtà, e la libertà dei nostri interlocutori. Messo alle corde, Paolo decide di far emergere la divisione interna all’assemblea dei suoi accusatori.
Paolo, sapendo che una parte era di sadducèi e una parte di farisei, disse a gran voce nel sinedrio:
«Fratelli, io sono fariseo, figlio di farisei; sono chiamato in giudizio
a motivo della speranza nella rissrrezione dei morti».
Appena ebbe detto questo, scoppiò una disputa tra farisei e sadducèi
e l’assembra si divise (At 23,6-7)
Anche noi troppo spesso conviviamo con autentiche scissioni. Nella migliore delle ipotesi, si tratta di separazioni interiori, invisibili all’esterno, oppure che ci siamo abituati a nascondere bene, persino a noi stessi. Fortunatamente è la vita stessa a farle emergere — talora improvvisamente — quando ci accorgiamo di non avere sufficiente unità e profondità per svolgere il compito che ogni giorno ci viene affidato: scegliere, rischiare, rimanere fedeli, assumere la fatica della libertà e la gioia della solitudine.
perché siano una cosa sola come noi siamo una cosa sola.
Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità
e il mondo conosca che tu mi hai mandato
e che li hai amati come hai amato me» (Gv 17,22-23)
La preghiera di Gesù per noi, nella sua ultima notte in questo mondo, si conclude così: con il desiderio ardente che la comunione d’amore da cui scaturisce la sua vita possa diventare il luogo dove anche noi siamo. E così dovrebbe concludersi ogni nostra preghiera. Con il desiderio di essere uno nell’Uno. Che per noi è ormai un volto. Da amare e nel quale perderci.
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