V Domenica di Pasqua – Anno A
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Dopo essersi presentato, domenica scorsa, come «la porta» attraverso cui passare per essere salvi e trovare pascolo (Gv 10,9), il Signore Gesù dichiara oggi di essere anche la «via», il percorso indispensabile per accedere alla «verità» del Padre ed entrare così nella «vita» (14,6) dei figli di Dio. Il vangelo di questa domenica prova a convincerci che è possibile vivere senza essere dominati dalla paura, ma attratti dallo stile e dalla logica di Cristo. Per fare questo clamoroso passaggio è necessario credere e obbedire alla parola di Dio, assicurandole il posto che merita la cosa più importante, quella che non lascia «deluso» (1Pt 2,6) il nostro cuore, ma lo colpa di vera speranza.
Tremare
Prima di morire, Gesù si è congedato dai discepoli intercettando il loro profondo timore, invitandoli a coltivare l’atteggiamento della fede: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me» (Gv 14,1). Certo, i motivi per essere agitati dalla paura non erano pochi quella sera. Da tempo il Maestro parlava apertamente della sua passione e morte a causa delle ostilità suscitate dalla sua predicazione. Nel gruppo dei Dodici l’ora della sconfitta era ormai avvertita imminente. D’altro canto, quale persona è estranea al sentimento della paura nel cammino della vita? Chi non conosce la morsa dell’ansia capace di paralizzare il muscolo del cuore? In fondo, è comprensibile avere paure: non sappiamo bene chi siamo, talvolta non riconosciamo quale sia il nostro posto e il nostro ruolo nel mondo, che cosa ci riserverà il futuro. Come si fa a vivere tranquilli quando le cose — anche le più sacre e belle — possono venir meno all’improvviso? Come si fa a non essere preoccupati guardando un futuro che sembra sempre più incerto e complicato? Per placare la forza indomabile di queste domande, ci attacchiamo spesso e volentieri alle cose, alle persone, a qualsiasi cosa promette di estinguere l’ansia di vivere. Ma solo le parole del Signore Gesù sembrano corrispondere alla misura del nostro vero bisogno: «Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”?» (14,2). Unicamente la notizia che esiste un posto per noi — e per nessun altro che noi — può mettere a tacere l’angoscia che si spalanca quando la vita ci spoglia di ogni sicurezza e di ogni punto di riferimento acquisito. La buona notizia che siamo figli voluti, cercati e attesi. Da sempre e per sempre.
Conoscere
Continua il Maestro: «Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. E del luogo dove io vado, conoscete la via» (14,3-4). Per superare il trauma della precarietà del vivere, il Signore risorto ci ha lasciato una strada da percorrere. Questa strada è molto particolare poiché, pur non avendola ancora imboccata, già la conosciamo. Dice Gesù: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me» (14,6). La strada che ci fa oltrepassare la paura di vivere è proprio il Signore Gesù, che si offre a tutti non come assioma, ma come percorso. È la relazione con lui, l’ascolto obbediente della sua parola la risposta ai mille dubbi di orientamento che ogni giorno ci assalgono. Sebbene molte cose ci facciano ancora paura e un’infinità di tenebre trovino posto dentro di noi, il Signore è assolutamente convinto che siamo tutti capaci di avventurarci in questa modo di vivere adulto e responsabile, dove i confini e le traiettorie si definiscono nel rapporto con la sua voce che ci guida. Il Signore è persuaso che non ci servano troppe indicazioni per camminare verso il nostro posto, che la nostra fantasia sia una risorsa, che il nostro intuito una bussola. Infatti, la strada, quando è buona, ti prende e ti porta con sé fino alla destinazione. Come certi sentieri di montagna, talvolta impervi e interminabili, che però poi ripagano di ogni sforzo, perché conducono alla vetta. Gesù è la via percorribile da ogni uomo perché, come ogni strada, egli è in grado di accogliere ogni genere di passo: quello arzillo e quello stanco, quello baldanzoso e quello esitante.
Ascoltare
Proprio dentro questa vertiginosa, splendida libertà si colloca pure la difficoltà del nostro essere cristiani, che spesso andiamo a cercare invano nello stantio e noioso elenco dei nostri peccati: la pigrizia, l’accidia, la codardia, l’incoerenza, l’egoismo. Tutte cose vere e deprecabili, che non sono però il centro della nostra resistenza al vangelo. Ciò che impedisce alla nostra volontà di abbandonarsi pienamente al movimento della fede è la paura di essere anche noi impiegati come «pietre vive» per «un sacerdozio santo e per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, mediante Gesù Cristo» (1Pt 2,5). Per questo troviamo sempre ragionevoli motivi per lasciare «da parte la parola di Dio e per servire alle mense» (At 6,2). Obbediamo alla paura perché avvertiamo quanto la chiamata di Dio sia immensa, esigente, un autentico passaggio «dalle tenebre alla sua luce meravigliosa» (1Pt 2,9). Eppure agli occhi del Signore la nostra vita, così come è adesso — non come poteva o doveva essere — è pronta a realizzare progetti straordinari, pieni di vita eterna: «Chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre» (Gv 14,12). Se solo sapessimo quante cose belle il Signore attende che noi ci mettiamo a fare! Se solo sapessimo quanti gesti di amore, di solidarietà, di giustizia, saremmo tutti felici di compiere. Se solo smettessimo di ascoltare con troppa attenzione le voci rassegnate e gli imperativi indecenti di una società sempre più vuota e triste. E cominciassimo a entrare — seriamente — nel «numero dei discepoli» (At 1,7) che, umilmente, «obbediscono alla Parola» (1Pt 2,8). Non sarebbe più turbato il nostro cuore.
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