COME PREGARE

Mercoledì – XXX settimana del Tempo Ordinario
L’apostolo — quando la sua più celebre lettera è immersa e immerge in una meravigliosa contemplazione del mistero della redenzione — arriva a parlare con estrema sincerità dell’esperienza di preghiera. Senza girare attorno al problema, dichiara quello che noi tutti facciamo sempre un po’ fatica a riconoscere. Davanti a noi stessi, prima che davanti a Dio. 

«Non sappiamo infatti come pregare in modo conveniente, 
ma lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili» (Rm 8,26)

Pregare è un atto semplice, quasi elementare. È il grido dei figli, dei piccoli che levano al cielo la speranza del cuore. Certo, faticoso è perseverare. Ma la vera difficoltà della preghiera è capire quali sono le cose giuste da chiedere, rivolgere al Signore (solo) le domande convenienti. Non quelle con cui tentiamo di rassicurarci, coltivando l’illusione che i terremoti e le tempeste della vita — a suon di preghiere — non faranno parte del nostro destino.   

«Del resto, noi sappiamo che tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio, 
per coloro che sono stati chiamati secondo il suo disegno» (8,28)

Anzi, continua Paolo, questa è l’unica cosa che sappiamo: non esistono situazioni o percorsi nei quali Dio sia assente. La storia — tutta e di tutti — sta salda nelle sue mani, che continuamente operano e costruiscono sentieri di salvezza, affinché il destino dei suoi figli sia pieno di dolce speranza e di sicura gloria.      

«[...] quelli che ha chiamato, li ha anche giustificati; 
quelli che ha giustificato, li ha anche glorificati» (8,30)

Piuttosto inutile — per non dire velenoso — farsi invece perniciose domande, con le quali diamo voce, e quindi ossigeno, alla paura di non essere all’altezza delle chiamate che la vita ci rivolge. Nemmeno quella fondamentale a (poter) essere figli di un Dio Padre. 

Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?». 
Disse loro: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, 
cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno» (Lc 13,23-24)

Il desiderio di Dio nei nostri confronti non è piccolo e non è per pochi. Semmai lo è il nostro di essere con lui e in lui, comprovato dalla facilità con cui ci attacchiamo alle abitudini religiosi e alle logiche di merito, anziché abbandonarci al ritmo della confidenza e della complicità.

«Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze» (13,26)

Dio desidera fortemente la nostra salvezza. I gemiti del suo Spirito in noi — capace di gridare più forte di ogni paura — lo attestano al nostro spirito. Le profezie di inclusione e di universalità, ispirate e tramandate sin dai tempi antichi, ne danno ampia conferma. 

«Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno 
e siederanno a mensa nel regno di Dio» (13,29)

Dobbiamo solo rinnegare le domande sbagliate. Smettere di entrare nei labirinti del dubbio e dell’insicurezza. Riconoscere di non aver capito quasi nulla di come, quando, perché l’amore di Dio ha deciso di iscrivere anche il nostro nome nell’infinito registro dei salvati, nella comunione dei suoi figli. Solo così può compiersi, quasi spontaneamente, la grazia della conversione.


«Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi» (13,30)

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