Venerdì – XVI settimana del Tempo Ordinario
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Chissà se Dio aveva già in mente la parabola del seminatore quando ha dato a Israele le tavole della Legge e dell’alleanza? Se è impossibile rispondere a una simile domanda, meno difficile è osservare che, in realtà, sin dal principio quelle istruzioni che sono poi entrate nella tradizione cristiana come “i Dieci Comandamenti” erano state presentate dallo stesso locutore divino semplicemente come parole, istruzioni per camminare nella libertà verso la vita. E che la prima di esse non prescriveva alcuna azione da compiere o da omettere, solo una memoria da custodire.
In quei giorni, Dio pronunciò tutte queste parole: «Io sono il Signore, tuo Dio,
che ti ho fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile» (Es 20,1-2)
Costringe a riflettere il fatto che queste parole si siano trasformate in comandamenti all’interno della comunità dei discepoli di Cristo. Non appare immediatamente chiaro come degli insegnamenti — pur formulati in forma di divieto e di imperativo — siano diventate, lungo i secoli, un nucleo giuridico e schematico con cui fare — spesso difficilmente — i conti, nel momento dell’esame di coscienza o della confessione. Eppure il Signore Gesù aveva illustrato bene i meccanismi tutt’altro che rigidi con cui avviene la comunicazione tra il cielo e la terra. Anzi, aveva persino spiegato la parabola.
«Voi dunque ascoltate la parabola del seminatore. Ogni volta che uno ascolta la parola del Regno
e non la comprende, viene il Maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore:
questo è il seme seminato lungo la strada [...]» (Mt 13,18-19)
Il problema è che noi vorremmo comprendere. E poi — magari, forse — mettere in pratica. Attivando quella strategia di controllo con cui prima misuriamo le proposte e poi vi aderiamo, impedendo alla vita — quindi a Dio — di sorprenderci e portarci altrove. La fortuna, invece, è che il Signore non è affatto geloso e non vuole impedirci la comprensione. Desidera però che siamo noi a lasciarci comprendere nell’avventura dell’amore più grande. Che impariamo ad ascoltare le sue parole e a coinvolgerci nella sua volontà. Fino a gioirne anche nelle difficoltà e nella croce. Fino a portare frutti che restano. E saziano.
«Quello seminato sul terreno buono è colui che ascolta la Parola e la comprende;
questi dà frutto e produce il cento, il sessanta, il trenta per uno» (13,23)
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