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Martedì – VII settimana del Tempo Ordinario
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Quando le parole del vangelo si fanno particolarmente radicali, ci attraversa un brivido al pensiero che il nostro coinvolgimento nel regno di Dio e nella sua logica riesce ad arrivare sempre e solo a un certo punto. Poi i piedi si puntano. Poi ci pare impossibile seguire coraggiosamente le orme del Maestro. Ci sembra follia tentare di oltrepassare la soglia della nostra capacità di sopportazione del male e della sofferenza.
«Avete inteso che fu detto: “Amerai il tuo prossimo” e odierai il tuo nemico.
Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano,
affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli» (Mt 5,43-44)
Eppure il Signore sa sempre quello che dice. Soprattutto conosce bene le persone a cui rivolge il suo insegnamento. Per questo non si limita a indicare altitudini vertiginose, ma punge il nostro orgoglio e risveglia il nostro desiderio con domande tutt’altro che scontate.
«Se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani?
E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani?
Voi dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste» (5,46-48)
È vero, amare tanto è difficile. Ma, in fondo, quale altro cammino può rendere sazio e felice il nostro cuore, sempre triste e deluso quando tentiamo di placarlo con manovre di piccolo cabotaggio? Inoltre, le nostre energie si scatenano non appena ci sentiamo chiamati a qualcosa di straordinario, mentre restano assopite quando navighiamo nella mediocrità. Per questo il Signore non esitare a rilanciare in alto il gioco della nostra vita. Consapevole che, prima o poi, dobbiamo arrivare ad ammettere che il motivo per non allarmarsi è che nell’amore le cose funzionano al rovescio.
«Vogliamo rendervi nota, fratelli, la grazia di Dio concessa alle Chiese della Macedonia,
perché, nella grande prova della tribolazione, la loro gioia sovrabbondante e la loro estrema povertà
hanno sovrabbondato nella ricchezza della loro generosità» (2Cor 8,1-2)
Paolo è felice che questi cristiani, sebbene di modeste condizioni, abbiamo condiviso spontaneamente i loro beni, a causa dell’amore di Cristo. Questo atteggiamento, di folle e libera prodigalità, è la messa in pratica di quella perfezione di cui parla oggi il vangelo. Siamo sempre persuasi che ci manchi qualcosa per essere felici, bravi, santi. Invece il problema non è quello che ci manca, ma quello che abbiamo. Ecco perché amare i nemici non è altro che accettare e incentivare la nostra povertà. In fondo chi sono i nemici, se non qualcuno che — a torto o a ragione — prova invidia, rabbia, frustrazione a causa di quello che siamo o abbiamo? Gli stessi sentimenti che — almeno una volta al giorno — atterrano e decollano anche nell’aeroporto del nostro cuore. Spogliarci, farci poveri, amare senza paura e senza pretesa sono i passi sempre possibili che ci fanno discepoli del Signore, perfetti nell’amore.
«Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi,
perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà» (2Cor 8,9)
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