Trasfigurazione del Signore - Anno A

Dn 7,9-10.13-14 / Sal 96 / 2Pt 1,16-19 / Mt 17,1-9

COSÌ PRESENTE


La festa della Trasfigurazione — che accende un bagliore nel già soleggiato tempo estivo — ci propone di volgere lo sguardo alla persona di Gesù in un momento speciale della sua vita terrena, nel giorno in cui «su un alto monte» egli «fu trasfigurato» davanti a «Pietro, Giacomo e Giovanni» (Mt 17,1.2) ed essi diventarono «testimoni oculari della sua grandezza» (2Pt 1,16). La tradizione ha da sempre interpretato questo episodio soprattutto in chiave pedagogica, come un segno offerto ai discepoli per sostenere l’impatto con la realtà e la logica della croce. Scrive un grande dottore della Chiesa: «Lo scopo principale della Trasfigurazione era di rimuovere dal cuore degli apostoli lo scandalo della croce, affinché l’umiltà della passione da lui voluta non turbasse la loro fede, essendo stata rivelata ad essi in anticipo l’eccellenza della sua dignità nascosta» (san Leone Magno). Indubbiamente si tratta di un significato che appartiene alla verità di questo mistero della vita di Cristo. Il Signore Gesù desiderava annunciare con chiarezza che nella sua imminente passione d’amore egli non stava perdendo la vita, ma la stava donando. I discepoli, da parte loro, avevano certamente bisogno di «conoscere la potenza e la venuta del Signore» (2Pt 1,16) per continuare a sostenere il peso della sequela, senza accordare troppa importanza alle incomprensioni e ai fallimenti.

Ma il vangelo suggerisce anche un’altra chiave di lettura. La «voce» del Padre che si leva «dalla nube» (Mt 17,5) vuole far capire ai discepoli non solo che il «Figlio dell’uomo» (17,9) è veramente il Figlio di Dio, «l’amato» (17,5), ma anche che la vera gloria consiste nell’accogliere la vita come missione e come servizio. Solo chi pone la scelta della solidarietà e della condivisione con gli altri – fratelli e sorelle in umanità – acquisisce «un potere eterno, che non finirà mai, e il suo regno non sarà mai distrutto» (Dn 7,14). Infatti, proprio in questo momento altamente estetico, il Padre ribadisce il carattere etico della vita di Gesù, pronunciando le stesse parole udite da tutti quando il falegname di Nazaret si era immerso nel Giordano, manifestando la decisione di una incondizionata fratellanza con l’uomo immerso nella paralisi del peccato. Inoltre la raccomandazione finale del Signore Gesù ai tre discepoli – «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti» (Mt 17,9) – rivela che il senso della trasfigurazione può essere pienamente inteso non tanto in relazione alla morte, ma alla risurrezione, quando è possibile comprendere dove va a finire la parabola di una vita donata per amore.

La luce della trasfigurazione non è pertanto solo un balsamo, ma anche invito: «Ascoltatelo» (17,5). Coloro che nel Figlio si sentono chiamati a diventare figli non possono che abbracciare la stessa logica di obbedienza in cui sta tutto il «compiacimento» del Padre, per venire poi «trasformati in quella medesima immagine di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore» (2Cor 3,18). Davanti a un mistero così attraente, non ci resta che ascoltare la raccomandazione di un luminoso testimone del vangelo, che può risuonare in noi come un dolce invito: «Grande miseria sarebbe, e miseranda meschinità se, avendo lui così presente, vi curaste di qualunque altra cosa che esista in tutto il mondo» (San Francesco, Lettera a tutto l’ordine 25).

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