Letture: Dt 26,4-10 / Sal 90 / Rm 10,8-13 / Lc 4,1-13
IN TENTAZIONE
In Quaresima i cristiani si espongono, volontariamente, alla tentazione. Cercano di imitare il Signore Gesù che dopo il suo battesimo si è lasciato guidare « dallo Spirito nel deserto per quaranta giorni, tentato dal diavolo » (Lc 4,1-2). Lo ha fatto per scegliere di essere un Messia pienamente solidale con la nostra umanità, segnata da tanti limiti e ferita dal peccato. Noi pure, in questo tempo speciale, vogliamo creare spazi di deserto, per mettere a fuoco chi siamo e dove stiamo andando. Ci regaliamo un’occasione per allontanarci da quello ‘ stile di vita superficiale, incoerente e illusorio che spesso ci trascina, ci domina e ci rende schiavi del male o comunque prigionieri della mediocrità morale’ e per ‘ renderci conto della necessità che abbiamo di aprirci all’amore di Dio in Cristo’ (Benedetto XVI, mercoledì delle ceneri 2010).
Inizio
Il racconto delle tentazioni di Luca corre il rischio di sembrare un po’ mitico e strano. Questo serrato dialogo tra Gesù e il diavolo che si sfidano a colpi di parola, facendo riferimenti precisi alla Bibbia appare distante dai nostri problemi quotidiani, anche se, ascoltandolo, intuiamo che ci voglia comunicare qualcosa di importante. Prima di entrare nei suoi preziosi dettagli, è allora necessario capirne il senso generale. Sta scritto che Gesù rimase « quaranta giorni » nel deserto, « non mangiò nulla in quei giorni , ma quando furono terminati, ebbe fame » (4,2). Noi spesso pensiamo al digiuno - quello di Gesù e il nostro - come una specie di prova fine a se stessa. Il Vangelo ci fa capire che, in realtà, il digiuno è solo uno strumento per giungere al limite estremo, dove emerge chiaramente il valore e il contenuto di una persona. Infatti, solo dopo quaranta giorni si scatenano nel cuore di Cristo le tentazioni. Ed era necessario che il Figlio di Dio fosse provato, perché solo ciò che resiste dopo essere stato messo in crisi può dirsi autentico. Avere una prova, anche da un punto di vista linguistico, è sempre ambivalente. Da una parte significa che stiamo facendo fatica perché la strada è improvvisamente diventata ripida; dall’altra vuole dire che abbiamo una conferma oggettiva su cui possiamo fare affidamento. Quando si verifica infatti un’amicizia, un’amore, una capacità? Nel momento della prova, non prima. È solo nella difficoltà che emerge la verità di ciò che siamo e di quello che stiamo facendo. La Quaresima dunque non è un tempo in cui, a denti stretti, tentiamo di offrire a Dio un po’ di sudore per dimostrargli che ci siamo e, soprattutto, che siamo bravi e forti. La Quaresima vuole essere un tempo in cui cerchiamo di avvicinarci al nostro limite, per riconoscere lucidamente cosa c’è dentro il nostro cuore, quali passioni muovono i nostri passi. Il Signore ha voluto conoscere tutta l’ambiguità che c’è dentro di noi, e il vangelo ce lo rivela sotto forma di racconto.
Prima tentazione
Dice il diavolo a Gesù: «Se tu sei Figlio di Dio, di' che queste pietre diventino pane» (4,3). La nostra prima tentazione è trasformare le cose in pane, cioè soddisfare la nostra fame con tutto quello che incrociamo ogni giorno. Tentare di trasformare le pietre in pane significa assolutizzare i propri bisogni fino ad appiccicarli alle cose e alle persone che ci stanno accanto. Così gli amici, il lavoro, il ruolo di mamma o papà, il corpo o i vestiti, i soldi che abbiamo o quelli che vorremmo avere, diventano le cose mi devono appagare, soddisfare, togliere il buco nello stomaco. Poiché la nostra vita ha bisogno di essere alimentata dall’esterno, noi siamo continuamente costretti a cercare fonti di nutrimento. Ma Gesù risponde al diavolo: « Non di solo pane vivrà l’uomo » (4,4). Il Signore non condanna il bisogno di mangiare, rivendica piuttosto una fame più grande che ha bisogno di essere ascoltata e risolta. Abbiamo un disperato bisogno di quel cibo che Gesù definiva: fare la volontà del Padre (cf. Gv 4,34). Cioè: abbiamo bisogno di assaporare la provvidenza di Dio, di saper mettere la nostra vita nelle sue mani di Padre generoso e fedele. La Quaresima non vuole introdurre divisioni o spaccature dentro i naturali bisogni che compongono il nostro vivere quotidiano; ce ne sono già così tante! Mangio o non mangio? Mi soddisfo o non mi soddisfo? Mi voglio bene oppure no? Sono tutte false opposizioni e modi fasulli di entrare nel combattimento spirituale della Quaresima. Nella logica del Vangelo ad ogni rinuncia corrisponde l’accoglienza di una proposta di vita più grande e più seria. Ogni gesto di penitenza o di mortificazione è soltanto il volto esteriore di una scelta di vita e di amore. La tentazione di mettere tutto a servizio dei nostri bisogni, anziché aprirsi al più grande bisogno di metterci a servizio di Dio e dei fratelli è la matrice di ogni altra tentazione. Il digiuno, accompagnato dalla preghiera e dall’elemosina, ci educa a non soddisfare sempre e subito i bisogni che avvertiamo, ma a riconoscere che dentro di noi riposa un altro profondo bisogno più vero e profondo, che possiamo imparare a riconoscere e a vivere. Il digiuno ci aiuta ad ascoltare tutta la fame che abita nel nostro cuore e non soltanto i suoi morsi più superficiali. Orienta il nostro desiderio verso un cibo più gustoso di quel pane strappato o mendicato che non riesce mai a saziare i nostri giorni.
Fine
Dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato » (Lc 4,13). La Quaresima è un tempo limitato, perché la prova della nostra umanità avviene entro certi precisi confini. Non si soffre all’infinito e non si è messi indefinitamente in crisi dalla provvidenza di Dio. Anche questo è un segno del suo amore di Padre. Inoltre per noi cristiani qualsiasi deserto non è mai terra arida senz’acqua. « Vicino » a noi è sempre la « Parola », sulla « bocca » e nel « cuore » (Rm 10,8). Perché se con la bocca proclamiamo: « Gesù è il Signore! » e con il cuore crediamo che « Dio lo ha risuscitato dai morti » (10,9), saremo salvi. Il nostro volto, con la sua vita e la sua morte, rimarrà « al riparo dell’Altissimo e passerà la notte all’ombra dell’Onnipotente » (Salmo responsoriale).
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