Ascensione del Signore – Anno B

Letture: At 1,1-11 / Sal 46 / Ef 4,1-3 / Mc 16,15-20


SINERGIA



Gesù se ne va, ascende al cielo. E a noi che rimane della sua splendida vittoria pasquale? Per accedere alla «santa gioia» (cf. colletta) nascosta nella festa dell'Ascensione del Signore Gesù, ogni anno dobbiamo compiere un cammino per nulla scontato attraverso le Scritture che ci raccontano questo grande mistero. 


Perché?

Ma non era più utile rimanere – come Risorto – nei tumulti della storia umana? Ogni anno, questo pensiero mi assale e mi inquieta! Non sarebbe stata una storia diversa la nostra, se Cristo «dopo la sua passione» avesse continuato a mostrarsi «vivo, con molte prove», continuando a parlarci «delle cose riguardanti il regno di Dio» (At 1,3)?! Chissà, forse no. Sicuramente sarebbe stata una storia meno libera, meno vera, meno responsabile. La vita della Chiesa, raccontata negli Atti degli Apostoli, si apre proprio con l'uscita di scena di Gesù dal palcoscenico della storia, con il ricordo dell'Ascensione, che il Signore compie di fronte agli sguardi trasognati dei discepoli. Prima di questo definitivo viaggio, il Figlio di Dio diventato uomo offre un ultimo annuncio, un'estrema precisazione: «Sarete battezzati in Spirito Santo» (1,5), «riceverete la forza dello Spirito Santo che scenderà su di voi e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino ai confini della terra» (1,8). Mentre il Maestro si allontana, annuncia la venuta di una nuova e sconvolgente presenza di Dio nell'umanità. Una presenza capace di estendere i suoi confini fino alle estremità della terra. È questo il motivo ultimo dell'Ascensione: la discesa sulla terra completa e permanete dello Spirito Santo. San Paolo, con altro linguaggio, illustra così il misterioso avvenimento: «Cristo ascese al di sopra di tutti i cieli per essere pienezza di tutte le cose» (Ef 4,10). 


Per noi

Nella scelta di ascendere al cielo, non c'è dunque alcuna volontà in Dio di togliere qualcosa, semmai di aggiungere ulteriori tesori per la salvezza umana. Proprio come i salmi, profeticamente, già cantavano: «Asceso in alto, ha portato con sé prigionieri, ha distribuito doni agli uomini» (Sal 68,19). Sì, proprio per noi Cristo è asceso al cielo, perché la nostra vita potesse diventare felice, adulta e piena, perché «arriviamo tutti all'unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all'uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo» (Ef 4,13). C'è soltanto il rischio di rimanere paralizzati davanti ad un dono così grande! Gli stessi apostoli furono infatti rimproverati il giorno dell'Ascensione da parte di «due uomini in bianche vesti» (At 1,10) che dissero loro: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l'avete visto andare in cielo» (1,11). In attesa dello Spirito non bisogna stare a naso in su verso il cielo, ma con gli occhi rivolti verso la terra e verso i fratelli. «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura» (Mc 16,15), dice Gesù agli Undici, prima della sua Ascensione, secondo la tradizione narrativa del Vangelo di Marco. Non bisogna aver paura, dal momento che ci saranno alcuni «segni» che «accompagneranno» (16,17) la vita di chi aderisce alla novità del Vangelo. Il Maestro, premuroso, li spiega.


Con noi

Chi crede nella venuta e nel ritorno di Cristo è capace di scacciare i «demoni» (16,17), cioè di non convivere pericolosamente con il male e con l'ingiustizia. Il discepolo mandato ai fratelli comincia a parlare «lingue nuove» (16,17). Infatti chi possiede la speranza della vita eterna parla davvero un nuovo linguaggio – la lingua «dell'uomo nuovo» (Ef 4,24) –, la lingua che racconta un amore inaudito, quello di Cristo. Maneggiare i «serpenti» (Mc 16,18) è un'altra abilità tipica degli apostoli del Signore. Chi crede non è più schiavo della menzogna, della tentazione, della divisione, ma riesce a domare ogni potenzialità negativa di cui il serpente è nella Bibbia potente immagine. E se al discepolo dovesse capitare di ingurgitare il calice amaro del «veleno», segno di sofferenza e di morte, questo per lui non sarà un «danno» (16,18)  irreparabile, ma un passaggio che si apre al mistero della risurrezione. Nulla potrà impedire a chi crede di diventare benedizione vivente di Dio per ogni uomo: «(Quelli che credono) imporranno le mani ai malati e questi guariranno» (16,18). Il Vangelo ci racconta che, dopo il distacco dell'Ascensione, gli apostoli partirono e «il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano» (16,20). Il Signore è asceso al cielo per poter vivere una nuova e meravigliosa sinergia con noi, non più limitata dallo spazio e dal tempo, ma universale e fraterna, aperta «a ogni creatura». Ormai tutta la creazione è sotto la signoria di un Dio che è «Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti» (Ef 4,6). I segni della sua presenza sono ormai vincolati al segno della nostra umanità che può scegliere di aprirsi alla potenza redentrice del mistero pasquale. «Ciascuno di noi» ha una «grazia secondo la misura del dono di Cristo» (4,7), cioè un compito da scoprire, una missione da realizzare in questo mondo. Nella misura in cui la scopriamo e, con responsabilità, ne assumiamo tutti i costi anche noi entriamo in sinergia con il disegno di Dio ormai rivelato: «edificare», giorno per giorno, il preziosissimo edifico del «corpo di Cristo» (4,12).


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