Lunedì - XXIII Tempo Ordinario

Letture: Col 1,24 – 2,3 / Sal 61 / Lc 6,6-11


QUELLO CHE MANCA


Le «sofferenze» (Col 1,24) della vita sono molto più simili ad una persona che a un concetto da capire. Che differenza c’è tra l’una e l’altro? Mentre il concetto è qualcosa che sta dentro la mia testa, alla stessa stregua delle idee e dei pensieri, la persona è un mistero che mi sta davanti. I concetti possono diventare oggetto di ragionamento e di discussione, con una persona invece c’è un rapporto più diretto e dinamico: o l’accolgo o la respingo, o mi piace o mi dispiace, o la amo, o mi è indifferente oppure la detesto.


Paolo, «apostolo di Cristo Gesù per volontà di Dio» (Col 1,1) dichiara di aver saputo accogliere i «patimenti» che derivano dalla sua attività missionaria restando «lieto» (Col 1,24). Di più: si accorge che questa sofferenza non cercata ma accolta unisce misteriosamente la sua «carne» alla passione di «Cristo» e allora decide di offrirla liberamente «a favore del suo corpo che è la Chiesa» (Col 1,24), della quale si riconosce «ministro» (Col 1,25). Paolo non ci comunica un’esperienza titanica e stoica; come un uomo qualsiasi confessa: «mi affatico e lotto» (Col 1,29). Tuttavia, aggiunge: «con la forza che viene da lui e che agisce in me con potenza» (Col 1,29).


Per un cristiano non sono inutili le tribolazioni, le sofferenze, le tristezze dell’anima che accadono nel tentativo di vivere fino in fondo la nostra umanità e la nostra fede. Tutto, proprio tutto, può partecipare alla Pasqua di Cristo, cioè al «mistero nascosto da secoli e generazioni, ma ora manifestato ai suoi santi» (Col 1,26). La sofferenza accolta nella fede e nella memoria di Cristo, può persino diventare una sorgente di carità, una intercessione silenziosa per i fratelli, sia per quelli che amiamo, sia per quelli che non ci hanno «mai visto di persona, perché i loro cuori vengano consolati... e giungano a penetrare nella perfetta conoscenza del mistero di Dio, cioè Cristo» (Col 2,1-2).


Parliamo naturalmente di un miracolo grande, di una maturità umana splendida che solo la grazia del Signore può far germogliare. Il Vangelo di oggi ci ricorda però che questo prodigio Gesù lo vuole compiere con molta determinazione, sfidando le nostre rigide leggi e le meschine misure con cui ci siamo abituati a vivere.


La «mano destra paralizzata» (Lc 6,6) dall’egoismo e dalla paura è la guarigione che ci serve per poter ricominciare ogni giorno a «fare del bene» (Lc 6,9). Questa mano che incautamente solleviamo verso l’albero proibito possiamo oggi scegliere di usarla per aprire le Scritture, per elevarla al cielo come figli, per tenderla al fratello che cammina accanto a noi. Non è più arida e immobile, perché il Signore ha parlato e promesso: «Stendi la mano!» (Lc 6,10).


Non sono le risposte che mancano al mistero del mondo, ma le nostre mani chiamate ancora dalla pazienza di Dio a «fare del bene o fare del male, salvare una vita o perderla» (Lc 6,9).


Questo, in verità, è «quello che manca» (Col 1,24)!


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