I nostri occhi desiderano vedere Dio. Non è un vezzo da mistici o da gente abituata ad andare in chiesa. È un bisogno profondamente umano, perché tutti desideriamo sapere per chi stiamo vivendo e poi un giorno moriremo. Questo anelito fa parte del nostro spirito, capace di elevarsi e individuare l’orizzonte di senso a cui tendono i nostri passi e la storia del mondo.
Purtroppo, fin dai tempi antichi non riusciamo a gestire bene questo prurito dei bulbi oculari e trasgrediamo continuamente il primo dei comandamenti che Dio ci ha dato: «Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo, né di ciò che è quaggiù sulla terra» (Es 20,4). Non è che Dio sia timido o imbarazzato dalle nostre telecamere. Semplicemente sa bene che ci serve un percorso per poter accedere alla luce splendida che rifulge nel suo volto. Per questo ha deciso di rivelarsi con cautela lungo la storia. Dio conosce il nostro cuore e vede quell’ombra di sospetto nei suoi confronti che tutti ci portiamo dentro come una ferita, quella macchia che la teologia cristiana ha definito ‘peccato originale’.
L’episodio del vitello e delle danze esprime in forma narrativa questo bisogno mal gestito che l’uomo si ritrova continuamente a vivere, mentre Dio tenta di rivelarsi a lui. Mentre Mosè è sul monte a ricevere la legge del Signore, il popolo non sa pazientare e comincia a fabbricarsi un idolo da poter adorare. L’oro esprime il miraggio del denaro e del potere, che noi pensiamo siano le prerogative di Dio, che non desidera condividere con noi perché ne è geloso.
Povero Dio! Che fatica raccontarsi ad un’umanità che ha perso l’identikit del suo volto di amore e tenerezza. Mosè si spazientisce, Dio perdona ma annuncia che la guarigione del popolo è ancora lontana: «Nel giorno della mia visita li punirò per il loro peccato» (Es 33,34).
Non è finita questa storia antica. Non appartengono al passato le ‘punizioni’ che ci procuriamo con le nostra brutte e malsane immagini di Dio che si riflettono nei modi con cui gestiamo la nostra vita. È difficile non fare lifting al volto di Dio, nemmeno dopo che Gesù ce lo ha mostrato pienamente. Il Dio di Gesù sarà anche bellissimo, ma è uno specchio difficile, perché è un Dio povero che sceglie di essere onnipotente nell’amore! Accettare l’immagine che ci restituisce significa affrontare fino in fondo le povertà che ci portiamo addosso, riconciliarci con tutto ciò che appare piccolo e insignificante, soprattutto con la nostra debolezza.
Ecco perché Gesù, parlando di Dio in parabole, utilizza l’immagine del granellino e del lievito. Dio ha bisogno di dirci che mentre noi ci aspettiamo un Dio ExtraExtraLarge a cui vorremmo assomigliare, Dio è invece ExtraExtraSmall come la misericordia, la pazienza, la tenerezza... tutte quelle cose semplici e quotidiane che appaiono piccole ai calcoli umani e invece fanno «grande» (Mt 13,32) il mondo e «tutta» (Mt 13,33) la sua storia.
Perché non scegliere oggi di adorare tutte le infinite taglie piccole che si manifesteranno davanti a noi? Perché non seguire Dio nel suo percorso di amore e rivelazione? Perché non stare con Dio?
Contro ogni idolo!
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