Lunedì - IX Tempo Ordinario

Letture: Tb 1,3; 2,1-8 / Sal 111 / Mc 12,1-12


IL PRANZO INTATTO


Siamo cattivi, viviamo male i nostri giorni! Il nostro rapporto col cibo lo dimostra con sorprendente efficacia. I disordini alimentari presenti nel mondo e nelle nostre esistenze ci testimoniano l’immaturità con cui coltiviamo la «vigna» (Mc 12,1) che il Signore ci ha affidato. Non sappiamo condividere i frutti con «i nostri fratelli» (Tb 2,2) più poveri: da quelli vicini a quelli lontani che gridano di fame nelle periferie meridionali del pianeta. Almeno fossimo sazi e contenti di quello che mangiamo e di ciò di cui viviamo! Macché: sprechi e anoressie elevano le spese quotidiane per medicine, psicoterapie e operazioni ecologiche. Questa incapacità di sedere alla mensa della vita è il prezzo che stiamo pagando per adorare i nuovi idoli del terzo millennio: sviluppo, libertà e benessere.


All’inizio di una settimana che, partendo dalla festa del Dio famiglia (Santissima Trinità), ci condurrà alla festa del Dio cibo (Corpus Domini), siamo invitati a riflettere sul modo con cui viviamo il rapporto con la nostra e l’altrui umanità. Per fare questo possiamo tranquillamente esaminare il nostro ordinario rapporto con il cibo.


La «parabola» (Mc 12,1) dei vignaioli omicidi ci racconta una modalità rapace e aggressiva di rapportarci ai doni di Dio, che sempre sono dati alle nostre mani per la vita e la condivisione. Il Maestro Gesù vuole condurci a riconoscere quella violenza che è presente nel nostro modo di vivere il rapporto con Dio e, di conseguenza, con il prossimo. Quando avvertiamo il Signore come un padrone esigente e avaro cominciamo a vedere male anche i fratelli, che giudichiamo concorrenti da eliminare affinché «l’eredità» sia «nostra» (Mc 12,7). «Che cosa farà dunque» (Mc 12,9) il Signore di fronte a questo quotidiano spreco di cibo e di vita? Semplice: Dio sceglie ciò che noi scartiamo! Il Signore entra in comunione con gli avanzi di umanità che noi gettiamo nelle strade e nella piazze.


Esattamente come fa Tobi, che pur avendo davanti a sé «un buon pranzo» (Tb 2,1) e una «tavola imbandita di molte vivande» (Tb 2,2) va in «in cerca di un povero» (Tb 2,3) con cui condividere il dono di Dio. E quando scopre che il povero ha gustato la parola estrema della morte, si alza «lasciando intatto il pranzo» e si prende cura del corpo abbandonato nella solitudine di una «piazza» (Tb 2,4).


Esattamente come noi potremmo fare, oggi, domani e sempre. Non ci farebbe male alzarci da tavola ancora sazi, oppure digiuni. Saremmo forse più felici se avessimo il coraggio di lasciare «intatto» il pranzo della vendetta, del rancore, dell’egoismo, del culto eccessivo del nostro corpo e della nostra immagine. E faremmo felice qualcun altro che è costretto ogni giorno a sopportare il peso della nostra feriale cattiveria, il prezzo della nostra smisurata attenzione a noi stessi. Un altro pranzo invece non conviene lasciare «intatto»: quello imbandito ogni giorno per noi sull’altare, sulle pagine delle Scritture sante, nel volto dei fratelli che attendono il nutrimento del nostro amore.


Come mangeremo oggi?


Commenti