Letture: At 14,5-18 / Sal 115 / Gv 14,21-26
A NOI E NON AL MONDO?
Prima della Pasqua i discepoli si sentono in dovere di interrompere il loro Maestro mentre sta dettando il suo testamento spirituale: «Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi e non al mondo?» (Gv 14,22). È una domanda molto intelligente, che interroga Dio su un punto decisivo della sua misteriosa volontà. Infatti, sono molto belle le parole di Gesù riguardo all’amore, molto forti i suoi inviti, tuttavia resta in noi una grande perplessità: perché tutto questo ‘ben di Dio’ viene raccontato a noi a non al mondo? Perché il «Dio vivente che ha fatto il cielo, la terra, il mare e tutte le cose che in essi si trovano» (At 14,15) non ha scelto una manifestazione più grande, pubblica e clamorosa? Perché ha preso in disparte un popolo (Israele) un manipolo di gente qualunque (i discepoli e poi la chiesa) anziché «dar prova di sé» (At 14,16) davanti a tutti i popoli, mostrando in modo inequivocabile la sua gloria e la sua onnipotenza?
La risposta sintetica a queste domande forse è tutta racchiusa nell’affermazione che troviamo nella prima lettera di Giovanni: perché «Dio è amore» (1Gv 4,8) e l’amore rifugge i grandi palcoscenici, preferisce le alcove. Il Signore Gesù tenta di spiegare proprio questo ai suoi discepoli: «Se uno mi ama osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23). Che strano! Che bello! In Dio non c’è assolutamente la bramosia di essere visto, applaudito, riconosciuto. Il suo desiderio struggente è di essere nostro ospite, affinché noi, che siamo «esseri umani, mortali» (At 14,15) diventiamo simili a lui (cf 1Gv 3,2). A Dio non importano le piazze gremite, i numeri alti, le casse piene; Dio vuole solo (!) essere amato. Questo è il principio e la fine dalla sua manifestazione: il riconoscimento del suo amore.
Il grande miracolo che sta in cima alle preoccupazioni di Dio è riuscire a convincere ogni uomo di essere oggetto di un amore grande e fedele. Egli sa bene che l’ignoranza di questa misericordia ci tiene «fin dalla nascita» paralizzati e storpi (At 14,8), incapaci di camminare nella libertà e nella gioia dei figli di Dio. Per questo non teme di portare avanti un lavoro pastorale a piccoli gruppi, fatto di sguardi, di incontri personali, di parole scelte e mirate. Questo è lo Spirito con cui Dio agisce e che guida lungo la storia anche i suoi apostoli. Come Paolo che «fissando lo sguardo» su «un uomo paralizzato alle gambe» si accorse che «aveva fede di essere risanato» (At 14,8-9) e gli disse: «Alzati diritto in piedi!» (At 14,10).
Il Dio di Gesù, di Paolo, della chiesa e dell’umanità agisce umilmente, perché desidera incontrare i nostri occhi e non dilatare freneticamente i numeri e i confini del suo regno. Perciò noi lo incontriamo solo alla fine del nostro desiderio di essere come lui ci ha pensati e creati, quando ci mettiamo in ascolto del «Consolatore, lo Spirito Santo» che il Padre fa scendere dal cielo nel nome del Figlio (cf Gv 14,26).
Il lavorio incessante dello Spirito – questa invisibile presenza di Dio – è semplice e straordinario. Egli prende gli insegnamenti e la vita di Gesù, e ci aiuta a capirne il senso profondo. Soprattutto raduna le sue parole sante e vere, che spesso riposano sparpagliate nella nostra memoria e inerti sul nostro comodino, e le introduce nel cuore, affinché il desiderio di viverle presto si accenda e infiammi tutta la nostra libertà. Questa è la promessa di Gesù: «Il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio no,e, vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto» (Gv 14,26). Questo è il modo con cui Dio si manifesta a noi e, quindi, anche al mondo che egli ama.
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